VIAGGIO INVOLONTARIO
Frammenti dal libro
a cura di Benedetto Gusano
Questo libro è stato stampato
per la quarta edizione di
Comunicare fa male
Fivizzano - luglio e agosto 1999
Francesco Cappè
IL FAGIANO VOLA AL MARE
Come ogni notte l'ho condita con un po' di Bonarda, spalmando Bloody Mary liquidi giù per l'esofago fra i polmoni, ho sciacquato i reni e l'ho sfrinzata fuori.
Sapete che in Alaska se si urina all'aria aperta si formano ponti di ghiaccio?! Bisogna essere bravi e tirarlo dentro alla svelta prima che il ghiaccio risalendo la corrente faccia suo il "punto di appoggio".
Salve!
Sono Dow Jones, un'ubriacatura di Dio o giù di lì.
"Figlio di un portiere di Wall Street, Dow Jones ha sempre annusato la bambagia ma a quella ha sempre preferito l'alcool. Cullato nella lana di voce di Frank Sinatra e avvolto nei resti del sipario a lustrini di Liza Minelli. Il suddetto pupo ha sempre dato segni di insofferenza verso le enormi parrucche giallo fosforescente della madre e le lunghe ciglia pettinate dai tubi di scappamento delle Rolls Royce dei suoi clienti. Trovava più simpatico il padre con quello strano modo che aveva di leccare le suole dell'America maiuscola, di rapinare mosaici di benessere come la ciabatta di Jerry Lewis, il pigiama di Nixon, l'accendisigari di Marilyn Monroe e le mance di Ford.
Smaltiva la nascita anche Dow Jones."
Mia cara, il Bloody Mary è un santo che sta lassù lassù a condire le nuvole in sei parti di succo di pomodoro, quattro parti di vodka, e poi gocce di worcestershire, tabasco e sale e pepe. Caro il mio cerbiattino a cinque stelle e mezzo se non mi dai queste cose io come faccio... non crederai mica che io le budella l'abbia comprate al mercatino dell'usato di Black Rock Market!
Bah! Mi guarda così perché mi si vuole fare.
Voulez vous coucher avec moi? e gli verso quel brodo di smalto rosso giù dal lavandino di lamiera del bancone del bar dell'Hotel La Bietola.
Hai la lingua benedetta da Dio, cara, benedetta da Dio.
"Ma soprattutto Dow Jones era tale e quale il nonno. Stesso carattere stessi baffi fuori moda stesse espulsioni universitarie stesso vino preferito alcolico cocktail super-spirito etere mescalina magic mushrooms anfetamina stesso mare stessa fortuna con le donne (così così, se si esclude la nipote della signora George ex del nonno) stessa non abilità alla guida delle navi.
Nonno Jones aveva (si era) perso disperso affondato dopo (probabile) naufragio un cargo di fine e aromatico Cognac di grande valore allora, 21 Marzo 1920, di immenso valore oggi dopo la profonda stagionatura nelle acque salate e pesciose del nord del Pacifico nei pressi dell'Alaska. O quantomeno lì si erano spezzate le conclusioni di polverosi anni di indagini a cerchio, sponsorizzate dall'azienda francese di Cognac.
Il nonnetto partì da Marsiglia. Scrisse da Cordoba una cartolina al profumo di donna. Scrisse da S. Francisco e virava verso nord perché onde anomale, squali, pirañas e stormi di Martin Pescatore gli ostruivano il passaggio alle Hawaii (testuale). Lì il cargo sarebbe dovuto arrivare.
Il problema?
Il nonno dopo l'ultima lettera nella North Beach di S. Francisco si fece vivo da Buenos Aires, Città del Messico, Otavalo, Santiago de Campostela, Bilbao, Parigi, Budapest, Livorno, Lisbona, dal mercato delle pecore di Cork, Tokio, dalle Antille, Zanzibar, dal deserto australiano, dalle isole Figi, dal quartiere migliore di Hong Kong, la Somalia, Mongolia, Polo sud e nord in ordine, Huddersfield, Algeri, era il Sam di play it again, Istanbul, Pekino, dal convento del Dalai Lama e dalla fiera dei canguri di Boston.
Carattere d'osso il vecchio Jones, non esattamente un pizzicotto sulla guancia né una morbida natica di culo, piuttosto un procione finlandese una lunga serpe avvinazzata uno scoiattolo al vapore uno di quei casi che avrebbero fatto scegliere a Darwin una carriera da calciatore oppure l'avrebbero convinto che l'uomo discende dal tabacco. E se con il tabacco si fa la scarpetta nel bicchiere del vino, ecco l'origine della donna.
Dow Jones! chi meglio del nipote degno di tale nonno potrebbe ritrovare quel cargo? ammesso che questo ancora esista (!) il gioco vale la candela la posta il rischio, il rischio un conto aperto intestato a Dow Jones dall'azienda francese di Cognac affinché ritrovi quel liquido marrone fine e aromatico. Briglie sciolte e l'equipaggio a sua scelta pronto sulla pista di cocaina."
- Ma non è colpa tua. - fa Magritte - un'estrema vita una vita estrema di esternazioni ingoiate e affogate nel catarro della sigaretta troppo forte. Troppo forte! per un viso docile come il tuo. Pupa. Una salsa di alienazione e inquietudine introspettiva solipsistica causale. Hai la bava sul collo! -
- Come...? - singhiozza la ragazza del bar dal naso alla pit bull.
- La bava sul collo... - ripete Magritte.
"Quell'uomo chiamato Magritte era un ex giudice che si era messo in testa di essere un grande timoniere e Dow Jones l'aveva preso perché "timoniere è chi timoniere lo fa".
Ah, caro il mio Magritte stamani questa tramontana mi spazza la cenere del sonno dagli angoli degli occhi, fra poco si potrà partire.
Mia dolce cerbiatta mi vuoi portare qualcosa da buttare giù o hai deciso che non dovrei bere di mattina presto?
Mi porta un caffè nero appoggiato a una bustina di croccante zucchero delle Indie. Magritte si affaccia e si sciacqua la ghiandola pineale nella mia tazzina, si asciuga la bocca con la cravatta e poi tira questa in su come il verso dell'impiccato, mi dà una pacca e mi dice di non perdere altro tempo che sta per uscire l'alba.
Oh!... ma stiamo scherzando!? il caffè?!... E IO TI UCCIDO.
- Signore signore questo è suo! - fa la cerbiatta da dietro il bancone del bar uscendo dalla cucina come Villeneuve da una curva e rincorrendo come una pazza un urlante Bloody Mary.
Alla stessa velocità Magritte se ne va fuori perché a suo dire c'è da sparare a un po' di gabbiani onde evitare problemi alle vele. Abbasso gli occhi quasi ci fosse un indigeno dalla pelle liscia come il dentifricio che mi tira giù le ciglia e con le ciglia si rimbocca il letto e ninna nanna ninna ‘o questo bimbo a chi lo do lo darò all'omino nero che se lo mangia tutto intero.
Porco Giuda! sbarro lo sguardo... e poi dicono che i bambini nascono razzisti...!
"Giusto il tempo per riordinare quei due o tre pensieri, articolare bene la frase e Magritte e Dow Jones presero sotto braccio la nuova alba. Uscirono dall'Hotel. Marsiglia era uggiosa.
Dow Jones tirava il fiato alla sigaretta e strappava i polmoni al fumo.
Magritte con un fazzoletto rosso asciugava le lacrime di pioggia alla finestra dell'Hotel. Gridava e appannava il vetro. Gridava e chiamava quegli altri due che erano rimasti dentro. Li chiamava Kandinsky e li chiamava Picasso.
Il primo, un imbianchino. Pitturava tutto. Aveva alle spalle un divorzio perché la moglie, a quanto pare, non gradiva svegliarsi la notte e trovarsi un pennello fra le gengive e la mano del marito che valutava la tinta più adatta allo smalto dei denti della moglie, il tutto delicatamente rapportato al colore del lenzuolo della settimana.
Era stato assunto dall'Hotel La Bietola per una verniciatura dei bagni. Li aveva fatti arancione e blu ed era stato licenziato in tronco dalla direzione dell'Hotel perché, a loro dire, bloccava l'afflusso libero di stronzi.
Nell'Hotel s'invaghì delle piume di struzzo di Picasso, e Dow Jones fu costretto a farlo dei suoi.
L'ultimo dei nostri era quindi Picasso. Una focosa pallida biondina giovanissima studentessa e cubista il fine settimana giù alla promenade.
I quattro sul molo di Marsiglia, così messi, probabilmente, erano visibili fin da Capo Horn. Quattro anime impalate. Una frittura di pesce di quattro totani dimenticata su uno scoglio."
Ciò la barca di fronte. Bella bellissima. Ha due vele bianche enormi che si gonfiano di vento. Mi passo uno o due frasi, fra me e me, come Rivera e Mazzola allo stadio Meazza di Milano. E passala quella palla mi dico! e invece me ne sto zitto e i tre si curvano come tre salive che pendono da due labbra screpolate. Bah! e mi stampo un sorriso in faccia da donare ai tre. Poi mi dimentico. Mi ritrovo con il solito sorriso che non so più che farci. Quando un sorriso si stampa e lo tieni lì appeso agli angoli della bocca come un impiccato al suo albero...
Mi viene su un po' di tosse dall'anima e allora vuol dire che bisogna proprio andare.
Andiamo a Cordoba!
Diario di Dow Jones.
Siamo partiti all'alba di Marsiglia. Magritte va abbastanza dritto. Voglio un Jameson irlandese.
La volpe del Toboso
"L'attraversata a quei quattro andò bene. Litri e litri di acqua affluivano in quello scaldabagno di mare. Quell'incantesimo di barca faceva il suo dovere. Magritte aveva legato una lenza da traino al timone e frugava il mare in cerca di tonni. Si fermarono un paio di volte fra la costa francese e quella spagnola cosicché Picasso potesse dare un paio di bracciate in quell'acqua gelida. Faceva bene alla circolazione di una splendida giovane.
L'inverno si stringeva addosso al sigaro mentre il fumo si scioglieva nella pioggia. Dow Jones giù in cambusa non ci pensava proprio a scrollarsi di dosso quel torpore da dopo bevuta. Raccontava di quella volta.
Mentre Magritte stava raccogliendo le sue idee in un branzino rosolato da strappare il fiato, i quattro su quell'incantesimo di barca scorsero il profilo pallido di Almuñecar.
Approdarono nell'ora di sera dei pescatori. Un ingorgo di barcacce di reti di pesci bell'e crocifissi, di salse di mogli profumate d'olio e sole di dita nel naso di bambini già pronti a frugare i migliori fondali.
Kandinsky ripassava il trucco a una vecchia piena di rughe, predisposta per Montecarlo meglio dei primi carburatori Kawasaki. Quella si sbarazzò della presenza inopportuna che era l'ora di cena e c'era da farla."
Ci arrampichiamo fra la sabbia fino oltre il pontile e c'è un braccialetto di luci rosse e strobo, gente con degli occhiali che sembrano gusci vuoti di vongole, volti tirati con le orecchie ritte sulla frequenza elettrica di una mitragliatrice amplificata che schiaccia ricci di mare sulla fronte di quelli del branco. Barracuda sdentati, sembravano. Saliamo due o tre scalini oltre, poi un'altra rampa di pietra levigata dall'acqua piovuta e entriamo in una bettola dalla porta aperta. C'è un rosso vermiglio che pare saldato sul volto dell'oste, un paio di cervelli da collezione del dopoguerra intenti a spellare un tavolo a picche e fiori. E poi, e poi non vado oltre, anche se la sete tira al bancone. Uno smilzo lungo e uno tracagnotto mi si sono piantati di faccia. Al diavolo!
Quello più basso dà aria alle trombe e mi dice, nel tono più ufficiale che può:
- Il "Fantasioso Nobiluomo don Chisciotte della Mancia", di cui io mi sfregio del titolo di suo fedele scudiero, o, anche, Sancio Panza, vi invita, con tutte le cautele del caso, in quanto, visto che non ha ancora avuto il pieno piacere della vostra conoscenza, alla caccia alla volpe di questa sera.
Il Nobiluomo chiamato Cavaliere dai Leoni che non molto tempo fa si chiamava Cavaliere dalla Triste Figura, cui ho l'onore di stare al fianco, sarebbe deliziato se alla caccia gradisse partecipare anche la dama in vostra compagnia, una bellezza di sublime altitudine.
Fuordiluogo gradendo la presenza di vossignoria e dei suoi fedeli... scudieri?.. un cenno positivo farà cosa che vossignoria ridonderà in bene suo, e lui riceverà un favore segnalatissimo e tanto piacere. -
Quello lungo e smilzo guarda con lo sguardo fiero e oltre di me un nuvolone gonfio di pioggia.
Magritte chiede che volpe è.
Io ho sete che sento l'esofago in sciopero articolato. In cosa consiste? Nei bronchi secchi, i polmoni brasati e la trachea molle. Il tutto impedisce ogni funzione e spezza ogni mia resistenza senza che per questo ne derivi alcuna conseguenza alla salute. Un ricatto bastardo perché in questo stato non si può neanche andare dal dottore. L'unico rimedio è l'oste.
Il basso risponde a Magritte - ...della peggiore. È una volpe di un'arguzia che sorprenderà vossignoria. È di un rosso splendente e parla perfettamente il giapponese, anche se in cuor mio devo ammettere che nonostante le insistenze del Cavaliere dai Leoni, la volpe ha sempre fatto parsimonia di parola. E poi vedrà i campi! Ah, la delle migliori cose che vi possa capitare. Quei campi verdi e il cielo viola non si possan raccontare.-
Picasso - Andiamo! non sono mai andata alla caccia alla volpe di sera. - così dicendo scodinzola fuori all'acqua.
Addio al mio cichetìn.
Il Cavaliere a quel punto si scrolla di dosso lo sguardo imbalsamato e urla GRAZIE! impugnando la spada e riempiendo d'aria il petto e - Abbiate or dunque l'audacia di seguirmi dov'io vi condurrò. - allunga il collo fuori dalla porta - Ronzinante vieni qua! -
"Dow Jones, don Chisciotte della Mancia altrimenti detto il Cavaliere dai Leoni, il fedele scudiero Sancio Panza, Kandinsky, Magritte e Picasso (ultima non percaso) impietosamente a cavalcioni dello stesso ronzino, presero piano piano il sentiero per Cordoba. Lì avrebbe avuto corso la caccia alla volpe.
Il ronzino tronfava nuvole di alito come un altoforno carico di ghisa. La notte aprì una timida feritoia di stelle e diede pace alle foglie e scrollò le piume bagnate delle poiane. Dalla soma della collina Cordoba apparve ai nostri come una bianca cicogna ubriaca. Scesero e si infilarono in quella coperta di viuzze e una cappa di brusio festarolo li accolse.
Lasciarono il ronzino sfiancato e in una spaventosa crisi d'asma, libero di ciondolare per le strade della vecchia città mentre ninfe, elfi, silfi, baritoni, mezzi soprani, elefanti interi, l'arpa dell'intervallo e Sancio Panza paccò la spalla di Dow Jones e la strana compagnia entrò ne "La maison de las cabezas".
Il barista, un tal Rugone, salutò dall'altra parte del patio arabo il Cavaliere dai Leoni che ricambiò con un regale inchino."
Il Cavaliere dai Leoni rivolto al barista - Spero che voglia, o mio buon amico, soddisfar com'è di suo costume, il mio esigente gusto e quello dei signori miei ospiti che in questa sera mi recan la grazia di celebrar l'ennesima caccia alla volpe. -
Quel Rugone impagliato china il viso un sorriso una lama a mezzaluna di ferro e ruggine e tagliuzza fine e lesto una manciata di marijuana, pejote, peperoncino, che Dio mi possa... abrasivi, untura, lucido da scarpa rosso e annaffia il tutto di sangrìa, intinge un ciuffo di paglia e me lo allunga d'assaggio. Il lungo accompagna il gesto del barista con una mano pari e l'altra dietro la schiena in un mezzo inchino d'orgoglio. Lo svitato sa a cosa vado incontro. Ve la prendete con me perché ho tutta la sete del Sahara. Lecco di punta come il cucciolo di una gatta e do il via al brindisi.
- ...e alla caccia alla volpe! - brinda Picasso, bellissima dama nella luce dell'olio.
Che mi potessero cavar gli occhi!
Il grullo lungagnone sbatte il ginocchio ossuto a terra, prende la mano di Picasso e - Regina e principessa e dama della bellezza... - appoggia la fronte sulla mano della stralunata Picasso - ...oh mia dorata, l'ebbi a cercare da ogni dove. Affaccettato nefasti boschi, liberato marrani, affrontato latrati e filibusti, brandito lance e villici, tornito zoccoli e ascoltato scimmie indovine ho andato lontano, mia Dulcinea... Dulcinea del Toboso. Or vi vedo ed è per me la prima delle volte, come tentai di spiegare a quel citrullo di Sancio che da par suo negò anch'elli d'avervi visto ma questa è un'altra storia e lungi da me il volere di tediarvi.
Mia Dulcinea abbiate la compiacenza di perdonare la menzogna, che io, umile e tribolato cavaliere don Chisciotte della Mancia, chiamato con altro nome il Cavaliere dalla Triste Figura, vi ho raccontato. Non serbiate rancore al vostro schiavo innamorato, ma la caccia è finita. -
- Cosa?! - grida Picasso.
L'altro alzando la voce e quasi in preda a convulsioni - ...la caccia è finita e vi chiedo con l'umiltà che in questo mentre mi si può legger dalle labbra, di essere la mia volpe in questa notte... -
"Picasso sotto l'effetto dell'infuso sputò diritto in faccia al malventurato che, colpito da tal malasorte e folgorato dalla verguenza dell'ammanco, nonché dai filacci di saliva, sprofondò nella tomba di un tappeto di Edimburgo come accadde a Messer Lou Reed nella dose di Trainspotting."
Magritte con le mani al mento si fa avanti e dice che la realtà non gliene voglia - ...ma di gran lunga il nobiluomo Cavaliere dai Leoni un tempo Cavaliere dalla Triste Figura è in parola. - Detto questo tende la mano al lungagnone per aiutarlo a rialzarsi - ...la scusi ma la dama è tanto bella quanto giovane, ma so. pra. ttutto - fa una piroetta - è sotto l'effetto dell'infuso!
Come del resto è questo nobile signore! - e Magritte indica a tutti il Cavaliere dai Leoni.
- Secondo punto, vi prego di voltarvi a guardare il fedele scudiero giocare al gioco elettronico, lì nell'ombra. Avvicinatevi e potrete notare i cieli viola, i prati verdi ma soprattutto... la volpe rossa!
Quella è la caccia alla volpe a cui alludeva il tribolato nobiluomo e valente cavaliere che del resto nel capitolo XXX, volume secondo della stampa a lui dedicata, recita "Di ciò che avvenne a don Chisciotte con una bella cacciatrice".
Lì, la caccia è agli uccelli d'alto volo, ma come volerne a un uomo per un così futile svarione?!
Poi, come ho già detto, l'infuso e la bellezza incantata di Picasso hanno fatto il resto e al nostro povero mortale non gli è rimasto che perdere la via. -
Il Cavaliere dai Leoni sfodera il suo più sontuoso inchino.
Magritte batte leggero due volte le mani e invita al ballo la bella Picasso che del resto è in preda a una crisi di riso. Crisi così non si sono mai viste neanche in Cina nei peggiori raccolti e PerDio! sfrondo alberi strizzo le lune stupro campi gialli di fieno e volo all'indietro come i pipistrelli che si sono messi in testa, la loro, di fare un nido nei capelli, i miei, e io gli spiego le mie ragioni. E volo all'indietro. Mi reggo a due leoni di ruggine. Che poi è il cancello de "La maison..." Non regge. Il volo s'arresta e la nuca bussa al diavolo nella terra del vicolo.
Gli altri tre vengono sbattuti fuori da lì a poco.
Con la coda dell'occhio intravedo il Cavaliere dalla Figura Triste e Sancio incamminarsi con il Ronzinante al fianco. Da infondo alla via e un po' sfuocato il tribolato Cavaliere mi fa un ultimo inchino e io mi allungo e mi stiro come quattro spighe secche in un campo di grano appena fuori la città vecchia.
La veglia di New York
Diario di Dow Jones
Nel mezzo dell'Oceano c'era un tramonto inzuppato nell'acqua salata e i riflessi di una sera d'inverno sulla coscia bronzata della giovane bellissima Picasso. Capite?
In onore versai un po' di vino bianco sulla pinna di un delfino lucido.
Ciò le palle a terra come uno scaldabagno rotto.
È giorni che vedo solo acqua. L'altra sera un'onda alta due volte la vela ci ha quasi ribaltati e sapete cosa ha fatto Kandinsky? gli ha sparato contro.
"New York apparve nel fumo come la tabaccaia di Fellini."
- Si può sapere perché diavolo hai dipinto la barca di grigio?
Kandinsky rispose con poca voglia che non aveva altro da fare.
- Razza di babbeo non vedi che è esattamente lo stesso colore del mare?! non ci capisco più un'acca, non so più dove finisce il mare e dove inizia la barca. Se il vento smette di muovere le acque siamo fregati. E se non smette è uguale, qualche triciclo a vapore ci si spalmerà addosso come il burro alla sua fetta.
"E così i nostri quattro con la barca grigia come il mare freddo entrarono in New York."
Picasso si mangia un hot dog. L'ha comprato da un carretto spagnolo sistemato ai margini di un semaforo, e lì si chiama perro caliente, cane caldo. A me l'hot dog non piace.
Ho la voglia di una checca di farmi accarezzare il culo da un paio di morbide lenzuola all'odor di lavanda in un hotel a cinque stelle. A cinque stelle... tò! quando dico così mi sento un poeta.
C'è un posticino proprio dentro Manhattan che fa degli aperitivi da favola, sali due scale e ti trovi in camere di velluto rosso, letti dai pomelli d'oro e un cameriere giamaicano che quando è in forma ti fischia tutta e dico tutta la nona di Beethoven.
Ci vado veloce e svelto.
Mi bevo le strade piene di traffico come il succo di un melone balbetto passetti sul marciapiede con gli altri tre dietro e quando attraversiamo la strada, così in fila come i Beatles. - Ahhh - e indico l'hotel Hurts proprio dietro un grattacielo di pesche.
Le fodere di lana e seta. Non me ne frega una pippa degli altri, incrocio le mani dietro la nuca sopra il cuscino, ordino dei cavoli per colazione e sbatto le ciglia su di un lampadario dalle candele lunghe bianche.
È ancora presto.
Ciò messo "ancora" perché sono un occidentale di merda con la mia ansia stitica.
Il cuscino morbido mi passa sulla fronte come la voce calma e lenta di Giancarlo del mio quartiere. La voce profonda grigia e nera come il retro di un asso di cuori. Un italiano cresciuto a cassata e lupara.
...Ah bei tempi quelli del "lardo di Colonnata fun club"!
Una cura contro la perdita di peli pubici... oppure una raccolta differenziata... risolverebbe il problema... della caduta di peli pubici... che poi, ah sìssì, il riportino del colonnello è più indecente... ma l'hai visto?... iiiiiih
...L'indispensabilità!
Ci siamo messi in testa di essere indispensabili e così siamo condannati a essere dei turisti mentre Neil Cassidy affoga sopra due rotaie di crema nel deserto del Messico, capite?
Del resto Alice nel Paese delle meraviglie era un viaggio nell'acido. Che ci crediate o no... iiiiiih meglio della scena storica del "Silenzio degli innocenti" quando Bill il pellaio danza mettendosi l'uccello fra le gambe...
Diario di Dow Jones
Poi il sonno mi è salito alla testa come l'ascensore all'ultimo piano.
Così sdraiato sento un vociare fitto salire le scale, quasi un ronzio, un urtarsi di piccole antenne. Inutilmente scalzi o in punta di piedi. Salgono le scale. Il rumore di una collana di perle che scivola fra le pieghe dell'hotel. Sono nel corridoio. C'è qualcheduno che singhiozza e si avvicina. La porta della mia camera di velluto rosso si spalanca e il singhiozzo diventa un urlo violento e nero.
Ma che...!!!
Una processionaria. Una decina di ombre di grosse formiche. Come quelle che si vedono solo nelle aie di campagna. Poi le figure diventano uomini e donne. La signora che urla la vedo bene. Non molto alta, bruna, infagottata nel nero, distinguo solo gli occhi gravidi di lacrime. Si piega e urla come uno sciamano epilettico. La mia stanza si affolla di un'altra decina di volti.
...Ma che diavolo ci fa lì Magritte?!
Tiene il braccio alla piagnona urlatrice. Questa s'azzittisce. Ma è soltanto un vuoto d'aria e riprende con la bocca sommersa dall'acqua degli occhi.
Magritte, sempre tenendola per un braccio, gli indica l'altra parte del letto. Si spostano e questo gli dice di piangere un po' anche da quella parte.
- Signora pianga un po' anche verso la finestra! -
...La finestra!
Fuori un grattacielo è rosso corallo. Fuori dalla finestra hanno colorato il cinema, la tabaccheria e il Lotto di blu. Le strade sono piene di sabbia e ombrelloni. Un altro grattacielo fucsia come un tramonto nella Terra del Fuoco, mentre lungo tutto il quartiere le facciate delle case hanno i colori delle palme da dattero... Kandinsky, come un piccolo ragno, scappa alla polizia con una confezione di cannucce sotto il braccio.
Magritte, da par suo, allunga un paio di banconote alla piagnona che si calma. Si calma completamente. Scioglie i capelli e ha la pelle del viso oliva, mentre quei visi e Magritte escono dalla stanza e chiudono la porta.
A poco a poco mi sento una sciarpa di lingue inumidirmi fra le gambe.
L'ascensore sale e sale e sale. Ultimo piano. Sfonda il tetto e cade tutta una pioggia verde di dollari.
Uno mi stringe la mano e - Congratulazione lei è il nuovo vincitore della Lotteria Nazionale!!! -
Diario di Dow Jones
Mi sono svegliato con Magritte che mi stringeva la mano e mi faceva gli auguri di buon compleanno. Per poco e gli pianto un pugno in fronte.
Il Marchese del Tramonto
"I nostri quattro trovarono miracolosamente la barca grigiomare al molo.
Fu infindeiconti abbastanza facile, era l'unico pezzo di acqua calma. E poi in superficie c'era un pesce che rimbalzava in preda a una crisi di nervi, sbatteva con la coda e il rumore era quello inconfondibile del legno.
Picasso dall'alto del suo pragma, lo raccolse e se lo infilò nelle mutandine "starà buono per cena."
La barca come un rasoio tracciò il fiume grigio dalle banchine innevate. Dow Jones si strinse a sé per il freddo. Allungava la parte bassa della bocca come un pellicano e alitava vapore caldo sulla punta del naso rosso e gli si appannavano gli occhi e non perché gli mancava una donna né perché i democratici dell'Arkansas avevano perso il loro candidato, ma perché aveva freddo, e quando si dice freddo bisogna stare attenti anche a tirarlo fuori per sfrinzare quel po' d'acqua gialla, perché il gelo te lo può mordere e dopo, l'unica cosa da fare... è aspettare la stagione calda."
L'autoradio dell'autostoppista di Milwaukee, che Kandinsky ha trovato di seconda mano in un mercato e ha innestato sulla barca, suona "Three imaginary boys" e scendiamo lungo il fiume che dà le spalle a New York e passa da Detroit... ho la polvere negli occhi... pieni di cactus... un serpente a sonagli per ciondolo... attraversiamo Cincinnati e la nebbia cola come panna fra i capelli e tira di scherma con le ossa.
Inquadro Magritte a prua con un cappello inglese impermeabile e un tronco di sigaro spento e senza fumo. Accanto, Picasso, per ripararsi dal freddo, si butta addosso i pesanti abiti da scena a lustrini che orfani delle luci della promenade combattono la nebbia come possono. Poi inizia e balla. Balla e i brillantini si mescolano
alla pioggia leggera, le piume si scuotono e...
si'ori e si'ore... il VARIETÀ!
"La barca scivolava fra le nebbie del fiume con la stessa forza del vecchio che insaporiva la sua manciata di polenta marrone calda strofinandola a un'aringa magra appesa per la coda. L'aria si gonfiava pallida e i nostri penzolavano da un fil di ferro teso come quattro pezzi di mortadella secca.
Santa Fe strappò quella penicillina bianca poi l'oceano di sole e di luci elettriche di Los Angeles...
...I nostri quattro coglioni farebbero bene a staccarsi dal filo perché hanno sbagliato città!"
Diario di Dow Jones
Bah! L.A. non era interessante. Larga come una macchia di sugo sulla tovaglia a stelle e strisce, la lasciammo diretti a nord, a S. Francisco
La barca vede terra e atterra nella North Beach di S. Francisco. La spiaggia e una sera alle prese con il suo kimono di seta ci vengono incontro. Poi la sera diventa uomo e il kimono un impermeabile lungo, lì, fra la strada e la spiaggia. Stringe la mano al tassista e - ...scendo dalla giostra... non gioco più! -
Quell'uomo dai modi garbati parla con un soffio di voce. Ci fa segno che il taxi è libero. Ci avviciniamo. Appena a portata lui si presenta - ...sono Transito ...di passaggio ...e sono stanco ...signori permesso! - Cammina svelto nella sabbia che bolle come la marmellata, si allunga nel tramonto.
Al tassista rimasto seduto chiediamo per il centro.
Ha un taxi giallo.
Rockwell MFG. CO, FARE, si scrivono sopra il tassametro di ferro, all'altezza del cruscotto.
Le cifre rosse girano sul display.
- ...Quello cià il cervello secco... quello... - sussurra il tassista.
C'è Picasso seduta sul seggiolino di fronte e io sono dietro con gli altri. S. Francisco si arrossa delle insegne. C'è la voce che gracchia di silenzio rotto da soffi d'imbarazzo. Il tassista guarda la strada. La strada ha negli occhi due sottovesti del marciapiede. La notte infila le unghie e un po' di mascara e un rossetto rosso acceso, si infila nel Lyric. Noi ci passiamo davanti.
C'è un cartello "Vote for Palantine" il tassista lo indica:
- Io lo voto. Non ne so niente ma lo voto. -
Ma, vede... vede...?
- Travis. Mi chiamo Travis... lui dice che noi siamo il popolo... e dev'essere così.
Passiamo davanti a Belmore Cafeteria.
Si incrociano le strade come le cosce. Il tassista Travis grida di Betsy che è una donna e la sua. È un modo come un altro per non essere qualunque.
Passiamo davanti a Super N.K.T.
Ci sono dei nervi elettrici scoperti nell'asfalto.
Solo chi non ha mai un'idea su niente potrebbe avere ragione. Non penso? no non penso! Il tassista Travis parla poco senza gli occhi.
Passiamo davanti al St. Regis.
Il tassista Travis è stanco, è tempo di addormentarsi sulle quattro pistole, di abbassare la sua cresta gialla.
"Quei quattro sgraffiarono due isolati di S. Francisco con i tacchi entrarono in una bottega anziana che aveva un'insegna aperta come un taglio rosso su di un vecchio muro di mattoni fumati dai tubi di scappamento di tutte quelle specie animali che affollavano quel marciapiede quella notte.
C'erano vetri di ogni tempo e cristalli e luci di lampade dietro i trasparenti. Il colore dell'anice e del Cognac. Volti umidi. Occhi con le tende di velluto abbassate per il freddo. Il Cognac bagnava come una cascata le gole secche dei nostri. Una sala intera tappezzata dal marrone aromatico del Cognac etichetta 1920. Picasso fece gli occhi di gatta e sparì con un bel giovane impellicciato.
I due burattini si stesero con la guancia di legno sul tavolo. Dow Jones da dietro un bellissimo cristallo di bicchiere si mise a scrivere cartoline di tutto il mondo con la mente larga come le vele gonfie di quell'incantesimo di barca - ...è solo che... e di questo ne faccio preghiera, non confondetemi mai con ciò che faccio perché io sono quello che dico."
© 1995-2011 GRUPPO ELIOGABALO