Gesicht Gedicht Genicht (In memoria di Paul Celan)

E MI PRESERO GLI OCCHI



Pensare è chiamare
Antonio Pizzuto


I - PRELUDIO ALLA NOTTE

Il suo soprannome in dialetto era "Ocio blu", la prima "o" aperta, la seconda chiusa. Occhio blu. Da piccolo lo storpiavo sempre in "Ocio bèlo", occhio bello. Forse un turchese d'oriente si insinuava già nel lapsus, un desiderio inconscio e platonico (ante litteram, per me, del tutto illetterato, allora - del tutto sano, precariamente). Desiderio e nostalgia di un colore dove abitare, senza passato. Oppure, banale malinteso, l'uomo nero maldestro e scivoloso, che fedelmente, ab origine, mi accompagna.
Era un manovale con un occhio vitreo, pupilla circondata d'azzurrocielo, mistero, per il mio sguardo bambino, di una visione parziale: tappavo una delle mie bocche di luce e la camera oscura del mondo continuava ad essere, inalterata, eppure al tempo stesso estranea, incomprensibilmente altra. Il suo volto butterato e ruvido - nella mia fantasia infantile identico a quello di pietra di un personaggio di fumetti americani, la Cosa -, i suoi modi bruschi, quasi violenti quando aveva bevuto troppo, e la sua voce tonante, roca di bestemmie innocue e ormai rituali, mi terrorizzavano. Negli ultimi anni, passando al paese dei miei nonni, lo incontravo spesso al loro bar. Pacche sulle spalle, il consunto repertorio di battute sul calcio: rispondevo talvolta palesando il disinteresse acquisito nei confronti di quello sport, oppure glissavo, rilanciando però con debita incongruenza. Sorrideva scettico, a significare forse - tipica ratio da tifoso verbale - la presunta intenzione di sottrarmi allo scontro dialettico per carenza di argomenti a favore.
Un tardo pomeriggio d'estate, limpido e geometrico nella violenza solare, improbabile, quasi fuori stagione, noto la sua sagoma in ombra, in fondo al salone, il gomito destro appoggiato al davanzale della finestra spalancata sulla valle, le dita forti e callose sulla nuca completamente calva, sguardo affondato nel proprio irrimediabile panorama interiore. Fatue reminiscenze da acculturato, intempestive: Dürer, Magri, Pontormo... "Ma come, anche Ocio si fa prendere dalla malinconia ? - No, no, è così, un momento", senza neppure voltare la faccia verso il suo interlocutore. Il mondo alla finestra, già, il demone meridiano, e via divagando, di associazione in associazione, di distrazione in distrazione. Cinque giorni dopo mi dicono che si è sparato un colpo di fucile. La sua voce la ricordo, bassa e lenta, indugiare in gola: mi sorprende. Per una volta volevo anticiparne l'allegra e ruvida invadenza. Controtempo e maldestro - gegenlicht, contoluce - come tutti i gesti infelici.
La presenza della sua immagine nell'incipit del video - confusa e fissa, con gesto bloccato e drammatico la prima volta; rapida, quasi impercettibile nella seconda occorrenza - è casuale, offerta dalla coda di una delle sequenze selezionate. Esitazione. Il lavoro si è sospeso per un attimo interminabile. Il malessere esitava di fronte all'imprevisto, alla cifra di dolore che faceva svanire il peso dell'infelicità, della mia infelicità di quel momento. La voce esitava, esitava tra il dire e il tacere, tra il vuoto di una presenza inaspettata e il vuoto del pudore. Il gelo ha deciso per me. E' la vergogna che parla e scrive, quella che sopravvive, quella che continuiamo a dimenticare, quella che dovrebbe impedirci di mostrare le nostre opere, lo spurgo di notti d'insonnia.
Fermo immagine, irruzione della trascendenza nel flusso del divenire, pura imago mortis, occhio di Medusa e pietra (stumm/unter steinernem Lid - muto/sotto palpebra di pietra). Votarsi all'immagine è cedere alle lusinghe dello svanire, abdicare al gioco della presenza - e dar battaglia a tutto questo, accanirsi nel furore di conservare e trattenere, nel vano gesto reiterato delle infinite resurrezioni. Scambio d'occhi, infine, a tempo indebito:/imagoeidetica (bildbeständig),/lignificata/la retina -:/il segno dell'eternità. Bildbeständig, come un fermo immagine.

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II - FLASCHENPOST

Gesicht Gedicht Genicht: desiderio di volti, di vederli scomparire e collassare, di rievocarli, di perderli, di reinventarli. Consumare nomi, pitturarli sullo schermo, consumare la consistenza amnesica di visi amati, custodirli, farli risorgere da vite e lavori precedenti, in cui erano incastonati come nell'oblio di ogni giorno. Suscitare il loro incanto, la loro ferita (la spina/corteggia la piaga), suscitare i mondi impossibili che essi dischiudono e che vengono offuscati dall'ovvio, sepolti nell'abitudine, inumati. Oppure, semplicemente, perduti. Gedicht, Genicht - calembour amaro e luminoso - Poesia, Nullesìa - come il cuore del frutto del mandorlo e il biancopagina del suo fiore (Blume - ein Blindwort - Fiore - una parola da ciechi), come papavero e memoria, come il vino nel cavo della mia mano, vendemmiato dalla distanza dei tuoi occhi; cabala del venir meno (come ogni jeu de mots cabalistico, come l'anagramma con cui il poeta ha rivestito la propria identità in fuga), in memoria di quel Atemkristall, di quel fiato cristallino dell'estremo che è Paul Celan. Anche lui suicida. Preghiera d'acqua ammutolita come Ofelia (...das Nichts/rollt seine Meere zur Andacht... - ...il nulla/voltola i suoi mari alla preghiera....
Genicht, Nullesìa. Ma il suffisso Ge- può avere anche valore iterativo: Sequela di niente, come suggerisce Maurice Blanchot. Gesicht, Volto. Gesicht, Visione e Vista. Come se la singolarità della persona - della sua immagine-paesaggio-passione - si facesse rarefatta e lieve nel fitto (dicht) "accumulo di parole" del testo, sospendendo il "tu" nell'atto che lo fa scaturire tenendolo a distanza, nel più mediato e astratto dei sensi, nel più perverso dei piaceri. Plotinianamente, contemplare è già di per se stesso creare e sedurre, trascinar via qualcosa dal proprio vuoto, dal proprio abbandono. E se comunicare fa male - lasciando perdere la volgarità del cicaleccio e della chiacchiera (das bunte Gerede) - è perché lacera l'illusione che ci protegge con lo schermo di un solipsismo più o meno palese, con lo spettacolo di un'iconodulia esangue.
La face s'efface, désir-désert. Gesicht, Gischt - il volto non è che schiuma d'immagine e "presto/sfioriscono i rumori/di qua e di là del lutto...". La distanza permette adesso a quel confuso turgore che chiamiamo, après coup, opera, di occupare il suo spazio elettivo, quello che era ingombro di ossessioni senza tregua, di presenza convulsa dei corpi-fantasma. E, per compensazione, l'esigenza stessa del dispendio "creativo" viene a colmare in effigie lo iato dell'abbandono - quasi per speculum et in aenigmate, riconfermando la malattia inestinguibile del vedere-amare-mangiare- l'altro. "Cospargi ocra nei miei occhi :/tu più non vivi/in essi".
Dalla malattia subita alla pato-logia esibita: eccessi e difetti energetici che cominciano a discorrere, solitudine del bambino solare che reclama una forma visibile e udibile - come il ritornello mormorato nella notte per fugare la paura. Desiderio di contemplare il ritmo in cui si prende congedo da se stessi. E allora, what we talk about when we talk about love? Magnifico malinteso che ci seppellisce, concedendoci il privilegio di assistere all'interramento delle nostre spoglie, di tutte quelle che siamo (stati) in grado di indossare. La voce, qui, ha ben poco da dire. Non spreme nulla - Stein, stumm - pietra, muta. Un nulla - da esprimere. Buona notte. Voglio dirvi una parola gentile: a tutti buonanotte. Il rumore sospende e inghiotte la voce (Stimme). Fahlstimmig, smorto suono, inerme di fronte - faccia a faccia, come in uno specchio deformato - alla violenza e alla distruzione. Il rumore (Hörreste, Sehreste - residuo di udito, residuo di vista), per contrasto, apre la disponibilità di ascolto - attenzione paradossale ma per niente mistica e vaga nei confronti del silenzio che abita la voce (Schweigen) e il volto (Stille) a cui essa appartiene, a cui non cessa di sfuggire. L'opera è in cammino. Flaschenpost, messaggio in bottiglia.

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III - TECNICA, TECNOLOGIA, BALBUZIE

L'attenzione che il poema (das Gedicht) cerca di porre a quanto gli si fa incontro, il suo acutissimo senso del dettaglio, del profilo, della struttura, del colore, ma anche dei "palpiti" e delle "allusioni", tutto questo io credo non è la conquista di un occhio in gara (o in concomitanza) con apparecchiature ogni giorno più perfette: è piuttosto un concentrarsi avendo ben presenti tutte le nostre date. ‘L'attenzione' - mi concedano di riportare qui, dal saggio su Kafka di Walter Benjamin, una frase di Malebranche - ‘L'attenzione è la preghiera spontanea dell'anima'.
La rosa di Nessuno (die Niemandsrose) compare tra un disturbo e l'altro, fa breccia in mezzo ai disastri dell'immagine magnetica, ai suoi Wüstengeschiebe (desertici detriti): drop out, sgancio, sgranatura (noise), sfilacciamenti, bassa definizione, appiattimento, feed back. Negata ogni possibilità di trasparenza del mezzo: è il fondo, l'opaco del supporto che sale in superficie. Flusso di materia grigiocielo come il cuore, in cui volti e nomi non sono altro che increspature tra le onde - rien, cette écume, une crête qui tremble au vent, epifenomeno della "mollezza" elagabalica - parvenze che baluginano sulla linea di fuga dell'orizzonte. E parimenti accade per il vettore d'intensità dei suoni, nella saturazione e distorsione di voci-rumori attinti dal preumano insondabile di un monitor - puro scavo introspettivo e narcisistico nel pozzo elettronico di una tecnica suicida, invito santo alla sterilità. E ancora, la rosa di nessuno compare e scompare nell'insorgenza di frammenti musicali, nostalgia di un mondo abitabile, di tutto ciò che non è stato, di una totalità inconfessabile o di un divenire ludico e insensato. Zone di sutura e tagli, ferite e piaghe, faglie e brecce, bocca e occhi e ciglia e il sesso dell'amata (Mein Aug steigt hinab zur Geschlecht der Geliebte - Il mio occhio scende giù al sesso dell'amata).

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IV - (...)

Il poema (das Gedicht) tende a un Altro, esso ne ha bisogno, esso ha bisogno di un interlocutore. Lo va cercando; e vi si dedica. Ogni oggetto, ogni essere umano, per il poema che è proteso verso l'Altro, è figura di questo Altro. Giuseppe Bevilacqua, a questo proposito, ha scritto che nella poesia di Paul Celan "l'interlocutore è fuori campo, nella Ferne, nella lontananza". Altrove, amaramente, in uno degli strappi della tensione di quell'Utopia di cui ci ha parlato nel "Meridiano", lo stesso Celan scrisse: tu sei il tuo unico interlocutore.
ALLMÄHLICH CLOWNGESICHTIG, nichtgespiegelt - Sempre più faccia da clown, specchio del nulla. La notte ha divorato il riposo e l'oblio: Lidlosigkeit, impalpebrità senza scampo. Se non ci assediasse "la dirompente persuasione che tutto questo/sia da dire altrimenti che/così", la quarta ed ultima parte di questo scritto avrebbe dovuto intitolarsi, forse: commuovere. In principio era l'emozione, il movimento, il muoversi comune. La parola, per il momento, si ritrae.

Und war
noch nicht
entäugt

Ed ero
non ancora
svuotato degli occhi

F. N. 1994



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