La favola del buon Dio
LA FAVOLA DEL BUON DIO
C'era una volta... Dio. Chi è Dio? Che cos'è Dio? Bambini bambini, come siete piccini, come
siamo piccini! E il mondo è così vasto, l'universo così immenso! E il nostro tempo è così poco,
così poco per capire! C'era una volta Dio. Una bella parola, Dio, grande, piena di promesse e di
mistero. Mi ha fatto compagnia sin dall'infanzia. La sentivo pronunciare dagli adulti con aria
di profondo rispetto, con una luce nello sguardo che trasmetteva pace, che dava sicurezza e
calore, come un abbraccio affettuoso. Capitava pure che Dio venisse nominato da un volto severo,
minaccioso. E allora non capivo. Non capivo quell'asprezza, quella rabbia, quella violenza
appena trattenuta. Perché la parola Dio avrebbe dovuto incutermi paura? Quando cominciai a
balbettare una lingua tutta mia, Dio diventò un'ombra amica dove ripararmi, se gli sguardi
altrui mi braccavano, oppure un fuoco dove scaldarmi, se mi sentivo sola, al buio. Nei momenti
di smarrimento era un sorriso largo, che tutto comprende, tutto accoglie. Era il sangue felice
che mi scorreva nelle vene mentre attraversavo silenziosa i miei boschi, le mie montagne, e mi
riempivo gli occhi dei colori dei fiori, dell'azzurro del cielo. Ascoltavo il ronzio degli
insetti, ammiravo il volo degli uccelli, annusavo i profumi della primavera, e mi chiedevo la
fonte di tanta bellezza. Dio, Dio era la voce che sgorgava dentro di me, il luogo dove il mio
stupore si riposava, tranquillo. Nelle notti stellate l'oscurità e la morte non mi facevano
tremare, perché le Sue braccia, le braccia di Dio, si sarebbero aperte per stringermi forte.
Dove Ti sei nascosto, adesso? Dove Ti sei nascosto? O sono io che Ti ho perso per strada? Tutto
è accaduto così in fretta. Voci incomprensibili che urlavano ordini feroci, uomini e donne in
piedi dentro quel vagone fetido, il rumore monotono del treno che di ora in ora spegneva ogni
lamento, ogni protesta. Quando ci hanno fatto scendere era freddo. Quando ci hanno fatto
spogliare dentro quello squallido stanzone, erano freddo e vergogna. Quando ci hanno rasato i
capelli, tutti i volti sono diventati uguali. In poche settimane ho scoperto che ci si abitua a
tutto. Non hai tempo per pensare. Non hai tempo. C'è solo il tuo corpo da difendere, qui, ora.
Dalla mattina presto allo sfinimento del giorno devi lavorare oppure vieni picchiata. E anche
lavorando si viene picchiati, sai, all'improvviso, senza capire perché. Gli ufficiali ogni tanto
sparano in testa a qualcuno. Oppure ci radunano nel piazzale per assistere alle esecuzioni. Lo
sto raccontando a Te, mi ascolti? Qualche giorno fa hanno impiccato due adulti e un bambino.
Li hanno fatti salire su delle seggiole. Hanno introdotto i tre colli nei nodi scorsoi. Viva la
libertà! gridano gli adulti. Il piccolo, lui, tace. A un gesto del comandante del lager le tre
seggiole vengono tolte. Qualche spasimo e i due adulti non vivono più. La lingua pendula,
ingrossata, bluastra. Ma la terza corda non è immobile. Il bambino resta così per più di
mezz'ora, agonizzando sotto i nostri occhi. E noi siamo obbligati a guardarlo bene in faccia.
Dobbiamo guardarlo tutti quanti, finché la corda smette di oscillare. Dietro di me qualcuno
domanda: dov'è dunque Dio? Eccolo, è appeso lì, a quella forca. Avrei voluto dirlo. Ma non
riuscivo ad aprire la bocca. Al Tuo cospetto, Signore, siamo come i vermi della terra, che noi
stessi calpestiamo senza preoccuparci, vero? Durante la notte un rabbino polacco pare che abbia
domandato, ad alta voce: perché l'uomo, e Dio, hanno così orribilmente sbagliato? Un
lungo silenzio. Poi mi hanno detto che qualcuno ha proposto di organizzare subito un processo a
Dio. Per capire quali sono le Sue responsabilità. Per capire se possiamo ancora credere nella
Sua parola, se possiamo sperare in Lui. Non è assurdo tutto questo? Ridotti come animali senza
dignità, torturati, violentati, massacrati di fatica, obbligati ad umiliarci l'un l'altro,
infilati dentro i forni, per regalarci una tomba nell'aria, come ripeteva ghignando uno
di loro... E noi troviamo anche il tempo per farTi un processo. Ma il Signore degli eserciti -
Ti chiama così la cara vecchia Bibbia, no? - non si cura di bestie da macello come noi. Non si
presenterà certo per rispondere. O per portarci via di qua, con un miracolo. Se hai davvero
creato tutto, se hai voluto tutto, se hai previsto tutto, hai creato voluto e previsto anche
questo, no? È logico. Una logica che uccide. E non sei forse Tu ad aver insegnato ai carnefici
il gusto di essere padroni assoluti? Comandare ed essere ubbiditi, dare e prendere la vita,
umiliare e far soffrire, infilarci in un sacco senza capire perché, senza poter fare nulla. Come
si fa allora a continuare a credere che ci hai creati per amore? Nessuno mi risponde. Nessuno.
C'era una volta una bambina che danzava nel mondo. La parola Dio era la sua musica più dolce. E
adesso che mi hanno ficcata in questa cella buia, dov'è andata a finire quella musica? Che
freddo che fa. L'unico calore è quello del mio fiato e dei miei escrementi. Non ho mai rivisto
nessuno di quelli che hanno sbattuto qui dentro. Ma Tu come fai a guardare tutto senza mai
intervenire? Siamo piccoli, siamo meschini. Ti abbiamo inventato, perfetto, onnipotente, per
identificarci con Te, per difenderci dalle nostre miserie. Più forte della morte: che buffo, fa
anche rima... Quando pronunciavo il Tuo nome mi sentivo così: più forte della morte. Dio è
misericordioso e chi prega è la sua pecora smarrita. Dio è grande e chi uccide è il suo profeta.
Non ti perdono. Anche se non ci sei. Ma perché parlo di Te, se non ci sei più? Perché parlo con
Te? Ho freddo. Tutte queste parole sono nella mia testa e nessuno mi ascolta.
C'era una volta una povera bambina che non aveva né padre né madre, erano tutti morti e non
c'era più nessuno al mondo. Tutti morti. E lei si mise in cammino. E pianse giorno e notte. E
siccome sulla terra non c'era più nessuno, volle andare in cielo, e la luna la guardava così
gentile, ma quando finalmente arrivò sulla luna era un pezzo di legno marcio, e allora andò sul
sole, ma quando arrivò sul sole era un girasole appassito, e allora andò sulle stelle, ma quando
arrivò sulle stelle erano moscerini dorati, infilzati come li infilza il falconcello sui
prugnoli, e allora volle tornare sulla terra, ma la terra era un vaso rovesciato, e lei, lei era
tutta sola. Allora si sedette e si mise a piangere. Ed è ancora là ed è tutta sola. Ci
scommettiamo che l'inferno è freddo? Ma quando uno diventa freddo non ha più freddo, vero?
* In corsivo (letterali o modificati): Eli Wiesel, Arthur Hertzberg, Paul Celan, Georg Büchner.
FRAMMENTI
"Ho abituato i miei occhi al sangue."
Georg Büchner
"Davvero erano stati soltanto i nazisti a portarci questa orrenda sciagura? Oppure anche tutti
gli altri, che stavano a guardare tranquilli e senza protestare le umiliazioni che ci
infliggevano?"
Simon Wiesenthal
"È veramente un terrorista (...) chi attrae l'attenzione del mondo sul genocidio che è in corso
in Cecenia? Come avremmo chiamato l'ebreo che per denunciare l'esistenza dei Lager avesse preso
in ostaggio gli spettatori di un teatro nella Germania nazista?"
Barbara Spinelli
"Lo ripeto: la colpa vera, collettiva, generale, di quasi tutti i tedeschi di allora, è stata
quella di non aver avuto il coraggio di parlare."
Primo Levi
"Davanti alla morte, all'abitudine alla morte, il confine tra cultura e incultura spariva."
Primo Levi
"In un regime totalitario, l'educazione, la propaganda e l'informazione non incontrano ostacoli:
hanno un potere illimitato, di cui chi è nato e vissuto in un regime pluralistico difficilmente
può costruirsi un'idea."
Primo Levi
"Della comunicazione mancata o scarsa non soffrivano tutti in ugual misura. Il non soffrirne,
l'accettare l'eclissi della parola, era un sintomo infausto: segnalava l'approssimarsi
dell'indifferenza definitiva."
Primo Levi
"Noi sopravvissuti siamo una minoranza anomala oltre che esigua: siamo quelli che per la loro
prevaricazione o abilità o fortuna, non hanno toccato il fondo."
Primo Levi
"Il potere è come la droga: il bisogno dell'uno come dell'altra è ignoto a chi li ha provati, ma
dopo l'iniziazione (...) nasce la dipendenza e la necessità di dosi sempre più alte; nasce anche
il rifiuto della realtà e il ritorno ai sogni infantili di onnipotenza."
Primo Levi
"Invece di insorgere contro il genocidio dei ceceni, per tentare di frenare la mano degli
assassini, l'Occidente tratta con i guanti il nuovo autocrate. Il 17 febbraio 2000, in pieno
massacro, il Club di Londra, che riunisce i principali creditori internazionali della Russia, ha
cancellato un terzo del debito russo, che ammontava a trentadue miliardi di dollari."
Jean Ziegler
"In che modo trattiamo le bestie? Le facciamo sbranare fra di loro per procurarci piacere, le
scanniamo per nutrirci; frughiamo nelle loro viscere, quando sono ancora in vita, per soddisfare
la nostra curiosità, e facciamo tutto questo grazie al dominio che Dio ci ha dato su di esse."
Pierre Bayle
"È stato detto, da Martin Buber, che Hitler ha costretto ebrei credenti e non credenti a parlare
di Dio, e che questa non è una delle sue minori scelleratezze: perché o Dio parla, e allora lo
si ascolta, o si parla a Dio, pregando, ma non si parla di Dio. Per noi comunque, e certo non
soltanto da oggi, il divino non può più essere l'orizzonte, ma tutt'al più il problema."
Sergio Quinzio
"HO ABITUATO I MIEI OCCHI AL SANGUE"
L'installazione del Gruppo Eliogabalo per la Giornata della Memoria 2002 si incentrava sulle
stragi nazifasciste dell'estate 1944 nelle province di Massa Carrara e Lucca, in particolare
sugli eccidi di San Terenzo Monti (Comune di Fivizzano) e Sant'Anna di Stazzema. Consisteva in
un dramma radiofonico seguito da videointerviste a due superstiti, all'epoca bambini. Il
pubblico era seduto dentro un cubo nero immerso nel buio.
2003: l'allestimento si svolgeva in due sale del Palazzo Ducale di Massa. Nella prima la potenza
della parola articolata provocava su necessità e limiti della memoria storica (su un alto podio
un attore vestito da ufficiale nazista arringava il pubblico seduto); specularmente, nella
seconda il potere della parola aggressiva (Hitler) si faceva linea di rumore insostenibile per
balbettare Auschwitz (proiezione audiovisiva con frammenti di materiale di repertorio, le
persone del pubblico in piedi dentro un recinto di ghiaia, "fissate" nel finale dal volto
allucinato di un giovane corpo nudo sopravvissuto alla Shoah, e quindi incluse nello schermo,
sorprese a guardare se stesse nell'atto di guardare). A questo percorso si accompagnava la
pubblicazione del testo
Alfabeto ossessivo della memoria e dell'oblio.
"Cos'è che in noi mente, uccide, ruba? Non me la sento di seguire questo pensiero fino in
fondo", afferma Georg Büchner a proposito della violenza ineluttabile della Storia. Da qui
prende le mosse l'edizione 2004, che ruota attorno al testo La fiaba del buon Dio. La
riscrittura immaginaria delle ultime parole di una giovane donna "sommersa" in un Bunker - luogo
di tortura e di isolamento nei Lager - si muove nello spazio artificioso di una costrizione
estrema e di una libertà estrema: la costrizione della cella buia e della solitudine senza
scampo; la libertà di una riflessione su responsabilità, potere e male, declinata nei toni di
una preghiera corrosiva, di un'inconsolabile ninnananna. Al corpo dell'attrice che parla,
costretto e imprigionato, corrisponde, nel finale, il volto muto, proiettato su una parete, di
una superstite italiana dei campi di concentramento, ripresa oggi, nel presente, pochi giorni
prima dell'installazione. La realtà sospende la parola. La memoria non riguarda soltanto il
passato - archivio astratto, valori ideali, cifre e statistiche - ma è accanto a noi, tangibile,
viva, concreta. Offre e lancia il proprio sguardo verso gli spettatori della "messa in scena".
Ci interroga col suo silenzio.
Abbiamo voluto proporre a un pubblico eterogeneo - senza l'albagia e il minimalismo da "arte
contemporanea" e però anche senza la falsa cautela di un atteggiamento didattico e demagogico -
un trittico sull'attenzione, sintesi problematica e necessaria di etica ed estetica. Il
tentativo critico di ricostruzione degli eventi storici; la riflessione sul metodo, ovvero
l'importanza civile della memoria e al contempo il rischio di inerzia o di ipocrisia insito
nelle rievocazioni pubbliche, istituzionali; infine, l'orizzonte più vasto di noi, che spalanca
lo sguardo sui "perché" irriducibili alle cause prossime e alle semplificazioni di comodo,
sull'essenza violenta e contraddittoria della vita - questo per noi è stato il cammino di tre
anni di Stanza della memoria.
"NON TI FARAI ALCUNA IMMAGINE"
STANZA DELLA MEMORIA 2004
Ideazione | Testi | |||
FABIO BIANCHI | FEDERICO NOBILI | |||
DAVIDE BINI | ||||
FEDERICO NOBILI | Attrice | |||
ALESSANDRA ROSELLI | ||||
Allestimento spazio | ||||
Sound design | ||||
icona | Volto proiettato | |||
UOVOQUADRATO | BIANCA MORI PAGANINI | |||
Scenotecnica | Coordinamento | |||
MONICA FEDERIGI | ALESSANDRA GALLONI | |||
STEFANIA SCROGLIERI | ||||
Cura sito internet | ||||
Assistenti di sala | LORENZO-FRANCISCO SEGALOTTO | |||
ALESSANDRA GALLONI | ||||
SIMONA DELL'ERTOLE | ||||
Service | ||||
UOVOQUADRATO | ||||
Patrocinato e prodotto da | Realizzazione | |||
PROVINCIA DI MASSA CARRARA | gruppo eliogabalo |
Si ringrazia: MASSIMO BERTOZZI, GIANCARLO BERTUCCELLI, MARCELLA BIANCHI, LORENZO BRUSCI / TIMET, ANDREA DE LUCA, PIERA DEL GIUDICE, FABIO EVANGELISTI, RAFFAELE PARRINI, ELIANA GAZZOLI, ELEONORA PAGLINI, MUSEO DELLA RESISTENZA DELLE PROVINCE DI MASSA CARRARA E LA SPEZIA (Fosdinovo), ASSOCIAZIONE SKENÈ e STIGLIANI snc.
© 1995-2011 GRUPPO ELIOGABALO