VIAGGIO INVOLONTARIO
Frammenti dal libro
a cura di Benedetto Gusano
Questo libro è stato stampato
per la quarta edizione di
Comunicare fa male
Fivizzano - luglio e agosto 1999
Benedetto Gusano
PREFAZIONE
una piccola vertigine
a Thomas Sankara
Primo movimento - Cronaca vera
Giovedì 3 giugno 1999, ore 10 e 26. Sala d'aspetto di un presidio ospedaliero. Il radiologo, candido come un sacerdote, esce dal suo sancta sanctorum. Nella mano destra tiene un foglio con la lista dei pazienti, impazientemente affollati. Leggendo, mormora tra sé e sé: "un nome una garanzia". Poi, sollevando mento e sguardo, bercia, imponendosi al brusio generale, il cognome del prossimo modello per la fotografia a raggi x: "MACELLAIO!"
Secondo movimento - Effetti collaterali
Domenica 13 giugno 1999, brano di un articolo su un quotidiano nazionale: Niente insetti sui cadaveri... Le guerre di fine secolo sono all'insegna dell'igiene: pulizia etnica e interventi chirurgici dal cielo, con terapia radioattiva e chimica.
Cranio impoverito, tombe intelligenti.
Terzo movimento - Acronico
Su scala umana la figura dell'immutabile esiste: è la ripetizione. Prendiamo un esempio: la deriva "condominiale" del Gruppo Eliogabalo, con questo secondo volume collettivo, dopo Buonanotte infinita. Si continua a pubblicare, malgrado l'attrito del tempo. Perché?
La realtà non è. La realtà si muove e si rifrange. L'occhio di Medusa, prima di congelarla nella forma dell'immagine, ne scompone i raggi secondo colori, intenzioni e difetti del proprio cristallino. L'osservazione può apparire banale, quanto ogni reclamarsi alla singolarità irripetibile del punto di vista o al principio quantistico di indeterminazione, per cui l'osservatore muta la realtà contemplata e sperimentata. Eppure la politica attuale del sentire comune - che è mirata strategia anestetica nella frantumazione del "particulare" - impone l'ovvietà marmorea e mercantile di una sola e unica Realtà, di una sola e unica e illogica Razionalità, ricacciando in territorio di fuga immaginaria e di intollerato disadattamento all'ambiente agonistico tutto quanto non sia capace o disposto a ripiegarsi nel cerchio disincantato di un pensiero che legittima se stesso - con l'argomento della forza, più che con la forza dell'argomento - come norma esclusiva dell'agire-patire quotidiano. Tradotto: o ti adegui oppure sei passato vecchio perdente e coglione. Se qualcuno oggi canta e urla e ripete: non si esce vivi dagli anni '80... un'eco potrebbe rincarare la dose di morte civile sussurrando: negli anni '90 non si entra proprio - vivi.
(LAVORATE IN SILENZIO - stava scritto nero su bianco in un vecchio cartello metallico sui muri esterni del mattatoio di Massa.)
Come il cinema secondo Glauber Rocha, Viaggio involontario si presenta materialista, didattico, epico e magico. Quello che segue - racconti lettere stanze coblas e theatrica - forse è un coro dissonante o piuttosto una coreografia spezzata, traiettoria di farfalle nevrotiche e indecise, desideranti di colore in colore, composta e scomposta secondo giochi di linee che non appartengono a un tratto comune. I frantumi giacciono sparsi sul palmo della mano, senza sintesi di movimento, scuola o manifesto. I fiati non si raccolgono nel canale di un nome proprio, fosse pure quello astratto e trascendente della Realtà. Fiati e frantumi paiono piuttosto garbugli sortiti dalla testa allucinata di un Paolo Uccello; voci e miasmi mescolati lungo scale e pianerottoli di un condominio al contempo immenso e angusto. E si sa che il condominio rappresenta il luogo a minor tasso di confidenza e apertura antropologica - quanto più si è stretti e vicini, coatti della prossimità, tanto minore è la circolazione vitale. La vita stessa, del resto, presa di sguincio etico, ma anche nel suo primordiale brodo genesico, non è che un'arte degli incontri.
C'è qualcosa, comunque, che sembra solcare le creste di queste onde diverse, convergendo nella velocità effimera e sfrangiata della schiuma che cancella i volti dei fantasmi d'autore in una dissolvenza incrociata verso la pagina vuota. Questo qualcosa, questo "incolore ateismo di tutti i colori", è impronta forte, non rassegnata, di respiri che si impegnano a distruggere ogni residuo di volontà mondana ed espressiva. A volte non si impegnano affatto, semplicemente accade. E il rumore bianco, che un lettore assoluto potrebbe registrare come risultato della sommatoria armonica dei diversi tracciati testuali, è l'altrove del libro, cui esso tende costantemente, rivelando di volta in volta l'enigma della dipendenza - dall'altro, dal cibo, dall'entropia, dalla legge della caduta dei gravi. Questo rumore bianco, questo gorgo galattico che pulsa attraverso di noi, questa materia oscura radiografata oltre il visibile dell'identità sociale, hanno virulenza di scossa elettromagnetica che infetta qualsiasi vocazione alla Letteratura, se per Letteratura si intenda l'esercizio pulito e "maggioritario", troppomaitroppo controllato e semprecomunque istituzionale, di quella patologia deviante e gioiosa che è, invece, la scrittura; di quello spreco inutile, di quel godimento pornografico, di quell'ascesi materialista e desertica che è la scrittura. Parli, scrivi, e non fai che accennare. Deserto non è che una metafora stinta. Se però ne segui il volo pneumatico o lo strisciare polveroso, ti porta fuori, in una spaventosa "gioi che mai non fina". Fuori, dove precipita lo spazio interstellare, dove siedono da sempre la solitudine e la meditazione del telescopio di John Coltrane, suono del suo fiato senza parole, serenità del disumano che accede all'arcana mutezza della pietra.
L'altrove del libro, comunque, non si configura con i tratti ieratici e sussiegosi di un mistico silenzio, ma è piuttosto un ficcarsi del dio assente nelle maglie e nei dettagli del banale - prurito improvviso che modifica la parabola di un gesto o la compostezza di una faccia, lerciume sotto le unghie che imbarazza un incontro, perdita di liquidi che ci travasa nell'aperto, suono incagliato in gola e deglutito, sasso che inciampa il cammino e ci stende a terra sulla nostra ombra, rendendoci finalmente uguali, al di là di ogni proiezione, al di là di ogni controllo. L'altrove è uno sconfinare della lingua nel corpo, nel suo brancolare e afferrare, nel suo intendere, abbandonarsi, dimenticare.
Terzo movimento (live) - Inafferrabile
Venerdì 11 giugno 1999. Civetta di quotidiano locale esposta accanto all'edicola:
Non credo che tutto si esaurisca con le cose dette.
Per esempio, amo l'astronomia.
Vladimir Majakovskij
...niente nel suo loco è grave né lieve...
Giordano Bruno
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